QUANDO TUTI SE AVEA ‘NA VACHETA

Ricordi di una ruralità perduta, o quasi

Rogaziòn

A primavera avanzata , quando la stagione cominciava a mettersi al bello e la natura era in pieno risveglio, arrivava il tempo delle Rogazioni.

Ve n’erano due principali: una detta di San Marco, quindi a data fissa (25 Aprile) e una seconda che durava tre giorni e si svolgeva i Lunedì, Martedì e Mercoledì antecedenti la festa dell’Ascensione. Potevano svolgersene, inoltre, anche altre, dette minori, senza indicazione precisa del periodo ma indette per invocare particolari necessità quali ad esempio la pioggia in annate particolarmente siccitose.

In quei giorni si partiva dalla Chiesa di buon mattino ( alle 4 e mezza !) e in processione veniva percorso un tragitto lungo stradine, sentieri , prati e campi secondo vecchi itinerari rigorosamente rispettati , pensati per “coprire” tutto il territorio della Parrocchia. In testa il prete con i chierichetti e a fianco i rappresentanti delle confraternite ( es. la Scola dei Mort ), dietro le donne e i bambini e in fondo gli uomini. Si svolgevano solenni e devote, con le croci delle chiese frazionali, cantando i brani del Vangelo, invocando l’intercessione dei Santi e una sequela di esorcismi contro tutto ciò che costituiva un pericolo alla fertilità dei campi, alla salute degli uomini e del bestiame.

Giunti in punti prestabiliti e consueti (le cosiddette fermatine), la processione si fermava e il prete, alzando la croce e rivolgendosi ai quatro cantòi (i punti cardinali) cominciava: “A folgore et tempestate” (ossia dalle folgori e dalla tempesta) e tutti gli altri rispondevano “Libera nos Domine” (ossia Liberaci Signore). Seguivano altre implorazioni quali: “A peste, fame et bello” (dalle malattie, dalla fame e dalla guerra) “Libera nos Domine”. E così ad ogni tappa si proseguiva per alcuni minuti con questo fraseggiare in latino, sconosciuto ai più, ma compreso benissimo da tutti, mentre lo sguardo e il pensiero di ognuno andava al proprio campo, stalla o famiglia.

Si riprendeva poi il cammino fino alla fermata successiva, per arrivare, a volte dopo alcune ore e a giorno fatto, al termine del percorso. Terminato il tragitto si rientrava ma a quel punto la processione perdeva molto della sua compostezza e concentrazione perché le preghiere si mescolavano sempre più frequentemente con i saluti a quelli che via, via si fermavano presso le proprie abitazioni, con i commenti sui lavori da fare, sui coltivi, sull’anticipo o ritardo della stagione ormai avviata.

Dopo le rogazioni riprendeva la quotidianità arricchita, però, da una certa allegrezza derivata dalla consapevolezza di aver riposto in mani certamente sicure e misericordiose, i propri affanni, fatiche e aspettative. Non si può non provare nostalgia per queste manifestazioni di religiosità popolare in quanto erano (purtroppo siamo costretti ad usare il passato) testimonianza viva di una Fede forte, forse ignorante, ma intimamente presente e radicata nel cuore di tutti, fin dalla prima infanzia.

Il poeta dialettale romano Trilussa scrisse : La fede è bella senza li dubbi e senza li perché . Proprio come allora ! (Paolo Tormen)